venerdì 24 ottobre 2008

VOGLIAMO ANCHE LE ROSE

Ieri sera ho visto un docufilm, titolo “vogliamo anche le rose”.. e siccome è un po' di tempo che rifletto su senso dell'essere donna, sono rimasta incollata, nonostante l’ora tarda (perché tutte le cose interessanti le fanno dopo le 23,00?!?). È un documentario che racconta il profondo cambiamento avvenuto nel costume in Italia tra gli anni ‘60 e ‘70 grazie alla liberazione sessuale e al movimento femminista in cui vengono riproposte le più importanti tappe di questo percorso e si percepisce che lo sguardo che attraversa le storie, è femminile.

E allora, come lei, mi domando, ma quando si parla di genere maschile o femminile come si può rendere il valore intrinseco dell'essere l'uno o l'altro? L'uguaglianza dei sessi è un concetto superato ed inapplicabile proprio per la peculiarità di ognuno dei due generi.

La realtà che struttura la differenza sessuale non può essere ignorata, quando pensiamo di poterne fare a meno ammettiamo il nostro desiderio di sbarazzarcene e proprio questo, invece, rappresenta una prova della sua persistenza. E come è possibile attraversarla senza avversarla, senza addomesticarne i termini?
La difficoltà comunicativa tra uomini e donne è dovuto all'archetipo dell'affermazione, nel senso più ampio di potere, che viene ribadito per rilegare le seconde in un ruolo superato di donna che è prima moglie, poi madre ma anche casalinga e lavoratrice.

Quando Calvino afferma che se gli altri accettano le sue idee questo vuol dire "comandare", a mio avviso dice una piccola verità. Ma perché come afferma Genevieve Makaping per le donne questo non è possibile? In una delle sue interviste dichiara: "Da noi in Africa non è inconsueto sentire dire, dagli uomini, ma anche dalle donne, in merito alle donne che hanno studiato: «Quelle là, no! Poi, a casa, vogliono comandare loro». Le donne acculturate vivono nel rispetto e nell’ammirazione di tutti, ma sono tagliate fuori dai luoghi fondanti delle società". Anche io vivo questa situazione anche se sono nata nell’opulento occidente…

Sentire gli uomini del documentario dire che si aspettavano che le loro mogli dovevano fargli trovare la cena pronta anche se avevano deciso di fare la scuola serale, era abberrante. Io non ho mai vissuto questo, anzi nella mia famiglia sono sempre stata spronata per fare di più e meglio, mia madre è stata la prima a farlo e in mio padre ha trovato un valido sostegno per mandare avanti la casa e l’educazione di noi figlie. Ma perché nonostante queste mie origini oggi mi sento un pesce fuor d’acqua e percepisco la mia crescita e la mia affermazione quasi come un’utopia?

Ho un lavoro stabile e sono apprezzata per la mia professionalità, ma quotidianamente devo interpretare il ruolo del maschio in carriera per farmi sentire e quindi perdo la mia “femminilità”, che non è da intendersi nel senso della sessualità, ma nel senso della mia peculiarità femminile…

E di una cosa sono convinta, sfidare la nozione di femminilità rappresenta un atto assolutamente femminile, una ribellione che può essere interpretata come la prova dell’esistenza di ciò che cerca di contestare.

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